Oggi la giornata è cominciata già malino, con Diegoarmando che domandava al padre: “ma tu
vai al lavoro? E mamma? Perché non va al lavoro? Perché non lavora più,
la mamma?”, ennesimo segnale di quanto male
li stiamo tirando su, ‘sti ragazzini che pensano solo al lavoro.
Pensassero invece, oggi e ancor più tra qualche anno, a sfruttare quello che in
maniera assolutamente paradossale, nell’Italia della gerontocrazia, è diventato
il valore principale, più a livello di marketing che di sostanza: e cioè la
giovane età.
Facciamoci caso: anche e soprattutto in campagna elettorale, i
concetti di “nuovo”, “giovane”, “facce nuove e fresche”, la sensazione di non
ancora contaminato insomma, hanno il loro fascino. E’ ora di rottamare, come
diceva quel ragazzotto mio coetaneo che una amica ha definito “uno di quelli
che distribuivano gli inviti per la discoteca”. Poi lui non c’è riuscito, a fare le scarpe a
chi pregustava di emulare, ma è un’altra storia anche questa.
Vedere accadere la stessa
cosa in ambito lavorativo mi impressiona, e non stiamo parlando di lavori per
cui è utile o necessaria la giovinezza, magari unita alla forza fisica o alla
probabile libertà da vincoli familiari e quant’altro (cioè, un ragazzo di
vent’anni è ovviamente più adatto a un lavoro di fatica in giro per il mondo
rispetto a una quarantenne imbolsita con figli a carico).
Parliamo di mestieri
normali, “di concetto”, in cui però l’essere nati nel 1986 o giù di lì è
esibito in maniera prioritaria, forse per sottolineare la vitalità, la
freschezza appunto. Ed è gradito al pubblico di riferimento, con commenti del
tipo “però, che giovane, eh che bravo a darsi da fare…”, come se un uomo o una
donna di 27, 28 anni o giù di lì fossero degli enfants prodige (io non ricordo niente di simile, alla mia epoca
così lontana e così vicina).
Niente di male, in fondo:
ognuno fa marketing di se stesso come può. E’ l’altro lato della medaglia di
una società che considera un sindaco della mia età ancora un “ragazzino”, cosa
evidentemente assurda e pregiudizievole in termini formali e sostanziali, e che
considera “giovani” i quarantenni, perché in ogni ambito lavorativo l’età
media, quella che ci si aspetta, è ben più elevata.
Penso ai medici, agli
insegnanti, ai giornalisti (quelli che lavorano davvero), così cercando di
abbozzare questa sgradevole sensazione, la stessa che mi ha colto qualche tempo
fa leggendo un articolo de La Repubblica sulle difficoltà degli over 35 nel
ritrovare un lavoro, proprio a causa della loro età (e ripreso nel post “Se a 35 anni non esisti più”). In Italia, come
sappiamo da diversi dati che si incrociano tra loro, i giovani fra i 15-24 anni(età peraltro scolastica, anche se non abbastanza) sono il 37%.
Pochi parlano della
“disoccupazione adulta”, che dovrebbe invece preoccupare di più in termini di
presente e futuro welfare. Io però cerco lavoro attivamente, e le facce di
quelli che incontro ai colloqui, ai concorsi, alle selezioni, sono più o meno
sempre le stesse. Ancora.
Nessuno dei nati negli
anni 70, che mediamente hanno una decina d’anni o più di lavoro alle spalle, si
sognerebbe di vantarsi della sua età. Nessuno darebbe loro una medaglia per il
fatto di “essere giovani”, in proporzione all’ambiente in cui operano. Renzi,
evidentemente, è un’eccezione perché è giovane rispetto ai politici medi italiani, e probabilmente è stato uno dei
motivi per cui molti l’hanno votato, e
così il sindaco di Cagliari Zedda; ma hanno pur sempre 37 anni, non sono cioè
nati nel 1988, per dire.
Non si vantano, anzi
spesso sono disorientati per aver perso o non ancora trovato il proprio “posto
nel mondo” (il lavoro è identità - ve l’avevo già detto che sono un po’
fissata?) a quasi quarant’anni. L’età, così come può essere esibita e
costituire un valore, è anche uno stigma sociale. Non ci vantiamo, un po’
perché non ce ne importa (fino ad oggi non l’abbiamo percepita come un valore o
peggio un dis-valore), e un pò per un timore inespresso, forse giustificato, visto che esistono ancora gli annunci di
lavoro che mettono un limite, così come i bandi per la formazione ecc.
Stiamo
attenti, insomma, a non considerare la “rottamazione” come un criterio
applicabile anche al lavoro, perché è già abbastanza difficile così, senza che
ci si metta a fare una guerra tra poveri.
Però, esagero nel
sentirmi un po’ a disagio se penso che forse i nati negli anni 80, appunto,
sono più interessanti, al momento di proporsi per un lavoro e perfino se un
lavoro non l’hanno ancora cercato? I vecchi- noi, anche se non siamo
oggettivamente tali- forse sono dati per spacciati, chiusi in un angolo di questo
strano contesto in cui i più anziani e i più giovani sembrano più
avvantaggiati?
(nella foto, vecchia bacucca del 1974) Etichette: disoccupati, francesca madrigali, giovani, Italia, lavoro, quarantenni, renzi, rottamazione, Zedda