La prospettiva di genere
sulla politica peggiora le cose, se possibile.
Per chi, come me, è fissata sul
rapporto (umano, politico, di potere, economico ecc.) tra i generi, la fatica è
doppia: prima devi individuare un candidato che ti piaccia, poi verificare che
non sia lì solo “per bellezza”, a scopo ornamentale, per fare bella figura
“politicamente corretta”. Questo rischio si manifesta, naturalmente, soltanto
con le donne, perché gli uomini non hanno alcun bisogno di giustificare la
propria esistenza.
La politica è una cosa
brutta e “fate bene a starne fuori”, disse quel tale ad una mia amica,
lasciandola impietosita (per lui): ma io questi soggetti li preferisco, perché
sappiamo subito quale è la loro visione del mondo.
Peggiori, perché più
difficilmente interpretabili, sono quelli che si vantano di sostenere una
candidata soprattutto perché donna, o
di avere riempito le liste di donne. Talvolta, va detto, le donne si prestano,
perché la disobbedienza a certi schemi è dura da accettare, e invece sarebbe
più utile, per loro singolarmente e per tutt* collettivamente, decidere di
“credere, disobbedire e combattere”.
Non si può essere una seconda scelta,
perché se il tuo valore è quello, lo era anche prima. In caso contrario, il rischio
“tappabuchi” mi pare altino.
Manca, in queste campagne
elettorali un po’ “sciape” (cit. Censis), la parola “anche”: cioè l’essere di
sesso femminile deve essere, in politica, un eventuale valore aggiunto alle
qualità di base indispensabili. Perché certamente una donna gestisce
diversamente il tempo, le energie, è nei secoli fedele agli equilibrismi
domestici e lavorativi, non ha tempo né voglia per le supercazzole o le
buvette.
Detto ciò, quando scelgo chi votare o sostenere, guardo prima alla
preparazione, le competenze, i valori e le posizioni economiche e sui diritti,
poi al genere.
Non mi interessa la
magnanimità della scelta del capo carismatico, perché la parità di genere non
può essere il frutto dell’astuzia politica di un singolo o di un partito, ma di
norme da rispettare (oltre che della necessità di un Paese più “normale” in cui
la politica è specchio –almeno nelle statistiche- della realtà).
Come persona, donna e
femminista mantengo il mio diritto di
critica su tutt*, uomini e donne, senza fare del corporativismo scemo, mica
siamo allo stadio. Ci sono più donne in politica, nelle liste, al governo? Ragazzi,
è soltanto normale. Passiamo alla scelta, e vigiliamo perché vengano utilizzati
gli strumenti per riequilibrare la competizione.
Qua ci vuole una energica passata di quote rosa e relative sanzioni dall’inizio,
da quando ci si tessera al partito: soltanto la parità numerica, l’aumento quantitativo
di donne - cioè la maggiore probabilità che aumenti la presenza di donne competenti così come di uomini competenti, e la possibilità di sceglierle con strumenti quali la doppia preferenza di genere- può riequilibrare la situazione e far brillare di luminosa inutilità
questi filosofeggiamenti miei e altrui.
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