“I fioretti a Santenzobiagi o
Santindromontanelli sembrano funzionare, perché ho superato una grande prova!” Esordisce così una dei partecipanti alle
sedute di terapia dei Giornalisti anonimi, gruppo di auto-aiuto che, sul
modello degli Alcolisti anonimi, cerca di aiutare i suoi membri a liberarsi
dalla dipendenza della scrittura in tutte le sue forme e in particolare quella
più dannosa per la salute: il giornalismo.
La quinta seduta si svolge a casa di Francesca, una di quelli con il problema
più serio: nonostante le raccomandazioni di chi ce l’ha fatta, in fondo non
vuole saperne di smettere del tutto. Di nascosto dal suo tutor, infatti, tiene
ancora in vita un blog (cosa sconsigliatissima se veramente si vuole guarire
dal problema).
La casa è piena di libri: il coordinatore della seduta, Pietro, l’ex giornalista diventato falegname, si guarda in giro con disapprovazione.
“… e che devo
fare, buttarli? O magari bruciarli?”,
mette le mani avanti la padrona di casa con una puntina di isteria. Ha
dimenticato di prendere la camomilla doppia potenziata alla valeriana con una
dose doppia di Maalox, necessaria dopo gli ultimi articolini letti online,
zeppi di errori di punteggiatura e maiuscole a casaccio.
La seduta comincia con il consueto mantra: "Siamo qui per aiutarci a vicenda, noi faremo del
nostro meglio per ricordarci che dobbiamo impegnarci per cambiare le cose che
possiamo cambiare e accettare quelle che non possiamo cambiare o come cazzo era
la questione. Insomma, che la Forza sia con noi…vabbeh, cominciamo. Oggi Carla
vuole parlarci della sua esperienza”.
Carla: “Buongiorno a tutti, mi chiamo Carla e ho un
problema”
Tutti, in coro (un
po’ fiacco, a dire il vero:è un bel pomeriggio estivo, le edicole stanno per
riaprire e il pensiero corre a quante belle cosine ci si potrebbe comprare,
contravvenendo alla regola per cui meno si legge e meglio è): “Ciao Carla,
siamo qui per aiutarti!”
C.:”beh, sì, ecco…io avrei voluto fare la giornalista, un
po’ l’ho fatta, ma poi, ecco…ho capito che il giornalismo faceva per me, ma io
non facevo per lui!”
Tutti: “………”
C.: “sì, beh, mi spiego meglio…a me piace scrivere…”
Mormorio
diffuso. Qualcuno comincia ad agitarsi sulla sedia, Francesca si porta una mano
allo stomaco: l’acidità sta peggiorando sensibilmente. Anche Pietro ha la
fronte imperlata di sudore, ma nel piccolo salotto c’è molto caldo, molti libri
e niente aria condizionata.
Carla: “mi piace scrivere, d’altronde è per questo che sono qui, no? Ecco,
qualche volta ho potuto farlo, con le parole giuste al posto giusto, la
sintassi corretta, i congiuntivi se necessario…insomma mi pareva il minimo
sindacale, anche se di noi il sindacato se ne frega, e uno dei giorni più belli
della mia vita è stato quando ho smesso di pagare l’obolo annuale…e la faccia
della segretaria…ah…”
Interviene
Pietro: “sì, ehm, giusto, il prossimo passo è
la quota annuale di iscrizione all’Ordine, ma ne parliamo un’altra volta. Ti
invito a stringere, sai non abbiamo molto tempo”.
C.: “sì, scusate, è che mi perdo nei ricordi..insomma,
dicevo: sono io che non sono più adatta. E’ stato duro rendersene conto, ma
quando ho cominciato a vedere i milioni, ma che dico, i miliardi di lettori delle
testate online che svarionano con la lingua italiana e pubblicano articoli
sulle ragazze che si fotografano le cosce o sullo sperma da bere, io…”
Tutti: “su ccoooosa??”
Francesca si
allontana un attimo, in preda alla nausea. Quella mattina ha letto un “editoriale”
su come si fa il giornalista, che l’ha sconvolta. Non tanto per i contenuti- ha
un problema serio di dipendenza e quindi l’argomento la agita- , quanto per
l’uso del “c’è” al posto di “ce”. (Esempio: “c’è lo portano via”). Le gira la
testa: con amarezza, si rende conto di essere ancora lontana dalla soluzione
del problema. Forse, eliminando tutti quei libri che ha in casa...
Carla riprende
il discorso, e tutti stanno attentissimi: “Insomma, credevo di esserne uscita. Facevo altro, lavori diversi,
stando attenta a non scrivere nemmeno per diletto, perché poi si sa che si
innesca quel meccanismo per cui si vuole soltanto essere letti, e se non si
riesce, allora…ecco. Stavo bene. Poi
però è successa una cosa che mi ha sconvolta e volevo raccontarvela, perché è
stata una prova di grande coraggio che ho superato!”
Tutti: “…..”
C.: “Una amica mi ha chiesto di accompagnarla nella sede di
un quotidiano, dove aveva un appuntamento di lavoro. Voi capite la situazione,
vero?”
Nel salottino cala
il silenzio. Molti si guardano le scarpe, forse ricordando il pavimento di una
redazione, altri sono pallidi, perché un giornale per un G.A. è come una cassa
di whisky per un alcolista. Pietro, comunque, la invita a continuare. La
padrona di casa distribuisce camomilla da una caraffa.
Carla: “allora,arriviamo al luogo dell’appuntamento, un bel posto, almeno da
fuori…e io mi blocco nel piazzale. Non riuscivo più ad andare avanti. La mia
amica mi diceva qualcosa tipo ‘su, che siamo già in ritardo’, ma io davo per
scontato che l’appuntamento fosse lì, nel piazzale, sotto il sole cocente. Lei
mi diceva ‘ma è ovvio che dobbiamo entrare, mica ci si vede fuori, così!’, e io
nulla. Sentivo la sua voce lontana, lontana..stavo bene fuori, all'aria aperta. Era come se mi stessero proponendo una cosa palesemente assurda, cioè... non mi era neanche passato per l’anticamera del cervello di entrare
fisicamente nella sede di quel quotidiano, ecco…”
Un ragazzo esclama: “ a me è successa una cosa simile e
sono rimasto fuori. Non ce l’ho fatta” (gli
si spezza la voce).
Carla: “Ma è appunto questo che volevo raccontarvi, per
dare un segnale di speranza: io invece sì! Ce l’ho fatta! Sono entrata e ho
visto la redazione, c’era gente dentro, gente vera! Alla fine i fioretti
ai santi protettori Santenzobiagi o Santindromontanelli hanno funzionato e mi
hanno dato la forza…e infatti poi è andato tutto bene. Non mi è nemmeno venuta la solita orticaria. Ho pensato a quel
direttore che mi disse ‘questo ufficio è
un inferno’ , certo scherzando, e meno male che non ci lavoro, in certi
tipi di inferni, eh?”.
Non si accorge di lacrimare dall’occhio
sinistro. Anche altri hanno gli occhi lucidi, forse per il messaggio di
speranza della testimonianza di Carla o per lo scampato pericolo del non
lavorare in certi brutti posti.
Il tempo è scaduto. Tutti si alzano
dalla sedia, si salutano velocemente, lo sguardo basso. Salutano Francesca, la
padrona di casa, che sta predisponendo uno scatolone per riporre i libri da
regalare: si parte dai vocabolari, naturalmente.
Appena
fuori, tutti riaccendono lo smartphone. Un coro di notifiche turba la
tranquillità di quel caldo pomeriggio estivo.Etichette: disoccupati, francesca madrigali, giornali online, giornali Sardegna, giornalisti anonimi, giornalisti disoccupati, lavorare gratis