Quarta seduta del gruppo di
auto-aiuto dei Giornalisti Anonimi (se anche voi avete un problema e volete
sapere come funziona la terapia, qui trovate i resoconti delle sedute
precedenti).
Il coordinatore, stavolta, è un ex giornalista. “Ex” nel senso che non
solo ha smesso di (cercare di) fare quel lavoro lì, e si è messo a fare il
falegname con ottimi risultati, ma anche che è riuscito a disintossicarsi
completamente. Da oltre dieci anni, infatti, è “pulito”: non legge un quotidiano, e non si è
mai comprato uno smartphone. Chiamiamolo Pietro.
La seduta si svolge nel retrobottega del suo laboratorio di falegnameria, che
Pietro ha messo a disposizione anche in virtù di un vecchio fioretto fatto a
suo tempo, quando cercava di iscriversi all’albo dei pubblicisti: “Sant’Enzobiagi,
se mi aiuti a racimolare tot pezzi pagati per 24 mesi consecutivi, ti prometto
che un giorno farò del mio meglio per aiutare altri sfigati come me…”
Il giorno dell’appuntamento è arrivato, gli sfigati sono, come al solito,
una decina.
Fra loro la solita Francesca, quella polemica, che non è ancora
venuta a patti con il suo problema di dipendenza.
Guarda Pietro con sospetto
quando questi prende la parola: “Buongiorno a tutti, e benvenuti a casa mia. Siamo qui riuniti…”
Tutti, in coro: “perchè abbiamo un problema!”
P: “è vero, ce
l’abbiamo, ma stiamo lavorando duro, facciamo il possibile e cerchiamo di
vedere il lato positivo!”
Applausi. Pietro comincia: “Oggi Mario ci racconterà della sua
esperienza, e noi faremo del nostro meglio per ricordarci che dobbiamo
impegnarci per cambiare le cose che possiamo cambiare e accettare quelle che
non possiamo cambiare o come cazzo era la questione. Comunque…”
Francesca: “ io comunque sono per la terapia ‘ a
scalare’, come con il metadone!”
Pietro: “stiamo calmi per favore, ricordate che
siamo qui per aiutarci a vicenda. Cosa intendi, Francesca?”
F. (intimidita): “ecco, volevo dire
che…che…insomma, che non mi pare bella questa cosa di smettere improvvisamente.
Non è che ci riescono tutti, per dire…mio nonno smise di fumare le Nazionali
senza filtro soltanto dopo il primo ictus, ma era motivato, insomma!”
Interviene un ragazzo pallido con la barbetta: “beh ma mica dobbiamo aspettare
l’ictus..come mi disse un caposervizio una volta, questo è un lavoro per chi ha
tanta resistenza…e io non ne ho più. Dopo quindici anni di collaborazione
esterna, non ce la faccio più!”.
La voce si fa stridula, interviene il coordinatore della seduta di
terapia.
Pietro: “Va bene, facciamo tutti un bel
respiro…respirate profondamente. Io resto convinto che il taglio netto sia la
cosa migliore. Zac, e non se ne parla
più. Da un giorno all’altro ho smesso di scrivere anche la lista della spesa e
uso soltanto l’imperfetto nelle conversazioni. E sto molto meglio! E ora,
Mario, raccontaci la tua esperienza”.
Mario: “Buongiorno a tutti, sono Mario e ho un
problema.”
Tutti: “ciao Mario, quale è il tuo problema?”
M.: “Beh, io volevo fare il giornalista. Era
dura, ma almeno sentivo le voci, e mi rassicuravano…mi facevano sognare!”
Pietro: “ehm, forse assumevi dei farmaci
particolari, qualche erbetta speciale per sopportare lo stress? Non
vergognarti, dal Maalox in poi tutto è lecito per sopportare certe situazioni…”
Mario: “macchè farmaci! Sentivo le voci perché
ascoltavo la radio, spesso in alternativa alla televisione, ed era bellissimo!
Intrattenimento, giornali radio, musica, approfondimento, tutto in una radio
locale. Il mio territorio raccontato dalle voci della radio, mica dalle solite
riviste di gossip, mica con il solito folclore ridicolo….e io sentivo le loro
voci…ma poi…”
Tutti, in coro: “Poi???”
Mario: “poi, niente. La solita storia. L’editore
molla la nave, la radio affonda e poi fallisce nell’indifferenza della politica
e di quasi tutti gli altri media. Io non sento più le voci che mi facevano
compagnia, sostenendomi nella pazza idea che fare giornalismo fosse possibile,
se non per me almeno per gli altri. E invece no”.
C’è un silenzio pesante nel retrobottega, sottolineato dall’odore di
legno tagliato e segatura. Una luce calda filtra dalla piccola finestra; sul
muro, alcuni ritagli di donne nude stampati dal sito Internet di un quotidiano
locale.
Francesca, quella polemica, li nota e osserva acidamente, rivolta a Pietro: “e questi? Fanno parte della
disintossicazione?”
Pietro, serafico: “Sì, mia cara. Quando ho capito che
scrivere bene non serviva a nulla, che la notizia in questo paese è quella del
nuovo locale notturno che apre o delle veline in visita pastorale, allora ho
deciso di appenderle lì, come un memento. Memento
mori però!”
Un timido applauso, velocissimo, spezza la tensione. Alcuni cominciano
già ad agitarsi sulla sedia. Sono i primi sintomi della dipendenza da Ipad,
smartphone, qualunque dispositivo che colleghi con il resto del mondo:
giacciono tutti all’ingresso, spenti perché almeno per un’oretta l’assenza di
stimoli è obbligatoria.
Qualcuno trema leggermente. Altri inspirano col naso,
sperando nei fumi della colla da falegname, ma nulla.
Il pensiero fisso è alle
notifiche mancate.
Il coordinatore si accorge che stavolta è particolarmente dura: Mario
piagnucola in un angolo pensando alle sue voci perdute, due ragazze lo
consolano ma sembrano pallide, e Francesca sta iperventilando in un sacchetto
di carta. Si decide quindi di interrompere la seduta: “grazie a tutti, oggi terminiamo prima per
dare modo a tutti di riflettere sulle due tipologie di terapia che abbiamo
sentito. La mia è quella drastica, improvvisa, per cui si torna istantaneamente
all’analfabetismo o quasi. E’ ottima ma bisogna avere un altro lavoro bell’e
pronto, o almeno un accozzo consistente. Io per fortuna facevo bricolage con
mio zio fin dalla più tenera età e mi sono riciclato in tempo, ma altri…no”.
Il ragazzo con la barbetta è sempre più pallido: “io non so fare altro, ho sempre fatto solo
questo, se si escludono i lavori come commesso, segretario, fattorino,
cameriere, insomma, ma erano lavori, quelli?”
Tutti, in coro: “sìììì, e perché mai non te li sei tenuti?! Non saresti qui ora!”
Il ragazzo è confuso, mortificato, e Francesca interviene in suo soccorso: “ecco, per te ci vorrebbe il secondo tipo
di approccio, che è quello che sto sperimentando io. Smetti piano piano, scrivi
sempre meno e vedrai che ti dimenticherai di tutto. Certo ci sarà qualche
ricaduta, è normale, cioè vorrai scrivere qualcosa per qualcuno, fosse anche in
un blog, ma ti verrà sempre più facile resistere e alla fine capirai che c’è
altro, nella vita. Ecco, resisterai ogni volta un po’ di più e magari un giorno ti accorgerai che sei libero
da questo nostro problema…magari”.
“Magari”, si sente sospirare da
un capo all’altro della stanza. La seduta è sciolta. Tutti si alzano dalla
sedia, si salutano velocemente, lo sguardo basso.
Il padrone di casa – Pietro,
l’ex giornalista diventato falegname rimette a posto le sedie e dà un rapido
sguardo ai ritagli appesi al muro: “una
imperdibile carrellata dei lati B più sensuali- le ombrelline tutto pepe- le
pose sexy di Karina- Leee, lo slip va giù e si vede tutto”.
Gli altri, appena fuori, riaccendono lo smartphone. Un coro di notifiche turba
la tranquillità desertica di quell’angolo operoso in mezzo al nulla.
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