…se sai come
organizzartelo, il tuo Facebook. Cioè se
capisci che è semplicemente uno strumento “neutro” e come tale produce dei
risultati diversi a seconda di chi lo usa e come.
Intanto c’è chi ne fa un uso soprattutto “ludico”, di cazzeggio pre e post
ufficio (e spesso anche durante), ci si vuole divertire, non vuole cambiare il
mondo ma semplicemente rilassarsi, giocare. E va benissimo.
Poi c’è chi lo
utilizza per lavoro e/o per entrambe le cose, e comunque lo osserva con occhio
“clinico”, constatando l’enorme potenzialità e i meccanismi incredibili su
piccola ed enorme scala che innesca.
Molti di questi hanno a che fare con quelle “Cose che non sapevi di desiderare…o di voler postare”, e che ti ritrovi
a pubblicare come se non ci fosse un domani. Ma un domani c’è, anzi c’è
l’eternità, e questo è sempre bene tenerlo a mente.
Allora qual è il
problema? Che c’è gente brutta sul social network, come argomenta oggi un post de Linkiesta, esattamente come al bar, in
strada, sul lavoro, a scuola? Che ci sono pallosi tuttologi che la sparano
grossa su qualunque argomento, che commentano a casaccio, che sbavano come i
cani di Pavlov appena intravedono un argomento “sensibile” come gli immigrati,
i rom, i politici, le donne, ma anche i vaccini, le religioni alimentari, il
matrimoni gay?
Non siamo in
balia di questa gente, semplicemente, spesso, senza volerlo ce le scegliamo - o
ce la teniamo. Tolleriamo affermazioni improprie sulla nostra bacheca, lasciamo
che ci appicchichino sopra video o messaggi che non ci rappresentano, che ci
inseriscano in gruppi che non ci interessano, non moderiamo abbastanza le
conversazioni, o condividiamo castronerie senza verificarle.
Se ognuno di noi
diventasse un po’ più rigoroso col proprio profilo social, e magari eliminasse
i contatti e i contenuti che non gli interessano, scoprirebbe che Facebook non
è la cosa pallosa che sbirciano distrattamente, invasa da gattini o da siti
farlocchi, ma può diventare un efficace strumento di informazione e
interazione.
Sì, ho scritto
“interazione”: cioè un’azione che potrebbe provocare piacevoli effetti
collaterali quali, ad esempio, stringere relazioni. Trovo quantomeno bizzarro
lo svarione di La Repubblica che in un suo articolo travisa completamente il
contenuto di una ricerca scientifica sulla solitudine nel mondo moderno –
intesa come mancanza di relazioni umane, di cerchie sociali- associandola ai
social network (appena menzionati nella suddetta ricerca).
Come se, cioè, i
social fossero i responsabili della frammentazione dei rapporti umani (!).
In realtà non
abbiamo ancora un orizzonte abbastanza ampio sui meccanismi e i cambiamenti di
costume e società, ma quel che sappiamo è che “se pensi che i social siano
noiosi, forse stai seguendo le persone sbagliate” (B.Sgarzi).
Basta fare un
banale esperimento casalingo: guardare la bacheca di qualcun* altr*. Io l’ho fatto, capendo subito perché l’altra
persona si annoia così tanto e si stupisce del mio uso intensivo di Facebook:
lei ha solo contatti che postano foto
del mare, dei bambini, dei gatti e dei cani, pizzerie e offerte speciali, video
delle ricette, test strampalati e, in definitiva, nulla di nuovo.
Questo ci fa
tornare all’inizio: abbiamo il Facebook che vogliamo e i commentatori che ne
conseguono. Noi stessi, quando
commentiamo gli argomenti “sensibili” sugli spazi altrui, dobbiamo essere
pronti a incontrare la gente brutta esattamente come può accadere al bar, in
strada, sul lavoro, a scuola, ecc. E, se
vogliamo partecipare (non necessariamente vincere, risultato impossibile con
tuttologi e imbecilli), comportarci di conseguenza.
E ricordare sempre che le
opzioni “disattiva le notifiche” (per evitare di essere sommersi quando si
interagisce su altri profili), “non seguire più” (per non restare soffocati dai
millemila post di chi non ci interessa davvero), fino a “rimuovi” e “blocca”,
sono la risposta! Etichette: condivisione, facebook, francesca madrigali, hate speech, likiesta, social network, socialmedia, società, studi sui social network