“Con la
determinazione n° 11214/2013 il Comune pagherà degli ‘esperti’ per andare nelle
nostre scuole elementari a spiegare ai bambini che se sono maschietti ma
vogliono diventare femminucce non c’è nessun problema. Di certo non starò a
guardare!”
Questo lo
status di Edoardo Tocco (PdL) su Facebook. Se questo è un politico (cioè chi si
dovrebbe occupare della cosa pubblica, per sostenere la maggioranza o, come nel
suo caso, contrastarla), io mi candido ufficialmente a Presidente
dell’Universo. In proporzione, posso farcela.
Non è solo una questione di
linguaggio, ma proprio di non sapere spiegare il concetto (cioè, io credo che
non ci sia nulla di intenzionale, vero?) Forse taluni non hanno capito bene il
concetto di “educazione di genere”. Provvediamo subito.
Il
riferimento è a un progetto finanziato dal Comune di Cagliari per il
superamento degli stereotipi di genere.
Che non sono, come afferma Tocco, l’essere uomo o donna: quello è il sesso di
nascita, cioè un fatto biologico. Io, per esempio, sono nata grazieaddio
femmina, mentre lui è maschio. (punto A,
propedeutico a tutto il resto.)
Cioè, se io volessi diventare come Edoardo
o lui come me, sarebbe transessualismo. Ehm, no, grazie. E soprattutto il
progetto in questione non c’entra nulla.
C’entra
invece parecchio l’educazione quotidiana che si da in famiglia e che certamente
non può essere sostituita dalla scuola, ma supportata sì. Infatti il progetto
del Comune parla di:
1- contrastare gli stereotipi di genere che
producono segregazione e limitano la piena espressione e realizzazione della
persona;
2- far riflettere i bambini sulla
propria identità di genere e sulle proprie aspirazioni e desideri;
3- far emergere come ogni bambino
ha percezione di sè in base alla propria identità di genere;
4- sensibilizzare per far
riconoscere e comprendere i concetti di diversità, pregiudizio e stereotipo
nella vita quotidiana e nella cultura diffusa;
5- far riflettere sulle
discriminazioni e sulla positività della "differenza";
6- promuovere
e diffondere la cultura di parità tra insegnanti, famiglie e operatori
scolastici coinvolti nel progetto, per attuare un percorso condiviso di
decostruzione di logiche discriminanti e di promozione dell'integrazione delle
differenze, combattendo le cause fondamentali della discriminazione di genere,
degli atti violenti, misogini ed omofobi.
Lo
traduciamo per fare più in fretta, chè in tempi di campagna elettorale per le
Regionali mica si ha tempo da perdere:
1. Gli
stereotipi di genere sono, per esempio, quelli per cui la mamma (o in generale
le donne del nucleo familiare) si spaccano la schiena in casa, e gli uomini no
perché è usanza, costume, abitudine. Tipicamente, si pensa sia normale che la
donna che lavora fuori casa una volta rientrata debba fare tutto lei: cucinare,
lavare, stirare, pulire, accudire marito e figli (maschi perché di solito le
ragazze vengono addestrate a fare da sé), come se costoro fossero disabili. Non
lo sono, ma sono maschi e per questo esentati. Questo è, appunto, uno
stereotipo.
2. I maschi sono maschi e le femmine sono femmine: è un
concetto simile a quanto riportato sopra, e a casa mia questo viene spiegato
anche con esempi visivi e con divertimento ai miei figli quattrenni. Mi stanno
dicendo che corriamo il rischio di “accaghinare” Diegoarmando e Giggirriva?
3. Il pisello e la patatina, o le
varie metafore alimentari/floreali: non è difficile, ci siamo passati tutti.
Magari sottolineare che una vagina (cos’è?!) ha la stessa valenza di un pene
(un pene!!!111!) non sarebbe male, visto che ancora mi dicono che in certi
contesti si esalta il pisellino maschile (a pochi mesi, a pochi anni…chiamate
uno psichiatra…) e invece i genitali femminili vengono chiamati “la vergogna” (c’è un medico nelle vicinanze?....)
4. basta mostrare le scemenze ad ogni
angolo: i giocattoli da piccola massaia tutti rosa, solo per bambine, e le
armi per i maschi. Addirittura mi segnalano un libro con l’elenco dei mestieri
in cui l’unico declinato al femminile è la casalinga. Questi sono esempi di
stereotipi diffusi nella vita quotidiana: nessun problema, a meno che non si
desideri per la propria figlia soltanto quel tipo di futuro, o in alternativa quello della donna scosciata nelle pubblicità. O pensate di
supplire con la vostra illuminata visione del mondo? (risate in sala).
5. Questo
è il punto difficile: chi invoca il “benealtrismo” in questi casi (“abbiamo ben
altri problemi!”), semplicemente non ha voglia o ha paura di analizzare e
accettare l’importanza della diversità. Discorso troppo complesso, ci torniamo
nella prossima sessione di esami.
6. Come
sopra: è un fatto culturale. Vogliamo impegnarci nella promozione della
convivenza civile? Dobbiamo farlo anche nelle scuole, sostenendo gli adulti e
le famiglie. Altrimenti sdoganiamo l’ homo
homini lupus ed è finita, la competizione feroce anche nei primi anni di
vita, la discriminazione, la valutazione degli individui basata su disvalori e
pregiudizi. Come, ad esempio, l’orientamento sessuale ma anche le attitudini di
vita, ad es. sono femmina ma voglio
lavorare e non fare la casalinga, ecc., oppure sono maschio e mi piace fare i lavori domestici, e perfino i
dettagli minimi come il vestirsi alla moda (o da maschio/femmina),
l’appartenere a una tribù definita ecc.
E sono
certa che nessuno vuole questo. Vero?
Concludo
con una nota ironica: ma quanti film horror
hanno visto certi mal pensanti? Ma perché tirano fuori scenari
inquietanti, da futuro apocalittico, da insidie infernali e sempre enfatiche e
traumatizzanti?
Ma come reagirebbero a un normale pomeriggio a casa mia, con
due maschietti di quattro anni che giocano indifferentemente con il biliardino
e la casa delle bambole, con la mini lavatrice e le costruzioni (niente armi in
questa casa però), e che vivono l’esempio di una coppia di genitori veramente
paritaria? Poveretti, forse penserebbero che il mondo sta andando a rotoli,
proprio. O potrebbero consigliarmi su quale sia l’educazione giusta da dare ai
ragazzini per evitare che un giorno “vogliano diventare femminucce” (sic!) ?
Auguri….per
la campagna elettorale, dico.
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