Gentile direttore,
Le scrivo a proposito di un articolo apparso oggi sul sito de L'Unione online
(“Nigeria, il figlio piange senza sosta, lui gli mette un lucchetto sulla bocca”),
corredato da una fotografia a dir poco discutibile che ritrae il bambino maltrattato.
Mi chiedo, da lettrice del vostro giornale, che valore possa aggiungere alla
nuda notizia una immagine così forte e potenzialmente lesiva della dignità
della persona (in questo caso un minore).
L'articolo è stato condiviso più di 70* volte: questo significa che l'immagine è
stata veicolata in Rete con un effetto "virale", arrivando magari a
fasce di lettori molto giovani o non preparati a decodificare certe
informazioni, e in ogni caso contribuendo alla diffusione di una immagine violenta
(che a sua volta provoca reazioni e commenti violenti).
Le chiederei pertanto se è possibile, o se Lei ritiene opportuno, rimuoverla
dal sito. La notizia, mi sembra, non sarebbe compromessa.
Ringraziandola per il suo tempo e la Sua
attenzione, porgo cordiali saluti
Questo il testo della
email che ho inviato ieri a Emanuele Dessì, direttore de L’Unionesarda.it,
versione online del nostro quotidiano regionale più letto. Non ho ancora
ricevuto risposta (ma vi terrò aggiornati).
L’immagine (che a oggi non
è stata rimossa) è a mio parere assolutamente superflua, più adatta a un
immaginario da film horror che a un giornale. Il quale dovrebbe fornire
informazioni e stimolare la riflessione sugli argomenti trattati, non
semplicemente provocare reazioni animalesche e “di pancia” come quelle
suscitate, ovviamente, da notizie come questa. Inoltre, c’è quel piccolissimo
fatto della Rete: cioè di una enorme cassa di risonanza che favorisce il
propagarsi di cose belle e (sempre più spesso) di cose molto brutte. La
“viralità” sta appunto nel fatto che un testo, ma soprattutto una immagine (che
ha molta più forza e immediatezza, attrae l’attenzione, vale insomma come e più
di mille parole), quando viene condivisa, può raggiungere migliaia di persone.
Questo vale per la notizia
e il video del flash mob degli ammalati di cancro all’Ospedale oncologico di
Cagliari, che ballano in corsia sulle note dei Bee Gees testimoniando la loro
invincibile voglia di vivere e in questo modo regalando un ammirevole esempio
che è giusto far circolare, ma anche per i contenuti violenti e superflui. Rispetto a cosa? Alla notizia, ovviamente.
Non stiamo parlando delle violenze in Siria, ma – nel caso del lucchetto (sic!)-
di un episodio di brutalità che poteva essere spiegato anche soltanto con le
parole.
La sensazione è ancora quella
di una scarsa consapevolezza della potenza di Internet e dei social network.
La facilità con cui si
diffondono informazioni e immondizia digitale è a mio parere sottovalutata, e
dovremmo spiegarlo bene ai giovanissimi, attori e vittime di quello che
chiamiamo “cyberbullismo” e altro non è se non un meccanismo antico enormemente
favorito dal mezzo di comunicazione.
Se è plausibile che, come
rilevato da questo articolo di Wired, molti condividano leggendo solo il titolo
e non soffermandosi sui testi, significa da una parte che la velocità e la
facilità di Internet stanno erodendo la capacità e la volontà di analisi anche
minima (quella richiesta, almeno un pò, dal cartaceo), e che la modalità
“splatter” della titolazione funziona meglio di ogni altra cosa. Figuriamoci se
c’è anche una immagine grottesca o violenta che l’accompagna.
In attesa di regole- o
anche di una robusta azione di controllo e relative sanzioni, chiamiamola anche
censura, parola da rivalutare fortemente- dobbiamo
concludere che Internet e i social sono il demonio e che vanno contrastati in
ogni modo?
Così sembra pensarla
l’Ordine dei giornalisti, per cui “Il
giornalismo ragionato e d’approfondimento della carta stampata rischia di
essere indebolito dal primato della cultura di internet”. Una nota? Una
intervista volante? Uno status su Facebook o una chiacchierata al bar? Macchè:
la risposta esatta di un test. Cioè, se la pensi diversamente sbagli (con
conseguente perdita di punteggio).
E io sbaglio,
evidentemente: perché penso che il giornale cartaceo non morirà mai, così come
i libri “veri”. Ha delle caratteristiche che l’online non possiede, e rischia
in misura minore di essere strumento di superficiale condivisione di “monnezza”
rispetto al web (anche perché la carta dura un giorno, mentre la Rete è eterna).
Quindi, mentre aspettiamo
la presa di coscienza e magari una dimostrazione di sensibilità da parte degli
operatori dell’informazione - che non è un atto magnanimo per far tacere la
solita rompipalle, ma anche e soprattutto una operazione di restyling mirata ad
acquisire maggiore autorevolezza di fronte al proprio pubblico di lettori-
ricordiamoci di stare attenti a quello che leggiamo, che condividiamo e su cui
clicchiamo (a volte non è necessario farlo, come ricorda Wired: se leggete un
titolo stupido, accontentatevi di quello e non aumentate il traffico su quel
sito, ok?).
Grazie.
[grazie anche a Davide Cabras per la condivisione dell’articolo di Wired
e a Giancarlo Ghirra che ha postato la notizia sui test dell’Ordine: spesso
Facebook è uno strumento molto utile. ]
* [meno di 24 ore fa le condivisioni erano 72, poco
fa erano 154. Tu chiamala se vuoi viralità.]
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