Mi sento invecchiata di qualche
secolo, oggi. Le terribili notizie delle alluvioni che hanno devastato i paesi della Sardegna, provocato sedici morti,
ucciso dei bambini si sono susseguite per tutta la giornata di ieri, e oggi
questa mi sembra un’altra terra. Leggo con siderale distacco degli “omaggi”
alla Sardegna, delle belle parole, della convinzione generale che i “sardi
siano un popolo fiero che non chiede elemosine e sa rialzarsi”, delle proteste
contro l’uno o l’altra che per qualche motivo non stanziano abbastanza soldi o
straparlano della Sardegna, perché, semplicemente, non la conoscono. Da una
parte comprendo che i simboli sono necessari, ma dall’altra vedo, ancora una
volta, tutti i segni stereotipati della nostra identità.
Ieri e
oggi i giornalisti, gli esperti, la televisione del pomeriggio e della sera ci
hanno spiegato che la colpa è soprattutto della mano dell’uomo. E’ un fatto
acclarato: l’evento in sé questa volta è stato eccezionale, ma non è la prima
volta. E comunque non si può pensare che ogni volta che piove un po’ più del
solito la gente muoia, nel 2013. Se la responsabilità è dell’uomo, è utile
individuare le responsabilità precise di ieri e dell’altroieri, ma nel nostro
Paese, si sa, la memoria è corta e non ci conterei più di tanto.
E’ il
senso di responsabilità collettivo che manca completamente, quello per cui ogni
abitante della Sardegna percepisce che egli
stesso è il paesaggio, il terreno,
il fiume, il mare. Dovrebbe capire che è parte di lui in quanto sardo, che è
cioè parte fondamentale del proprio essere, anche per il fattore non secondario
della sua buona sopravvivenza.
E
dovrebbe rispettarlo, non consumarlo, perché così facendo danneggia se stesso e
perde pezzi di sé.
E’ come la lingua:
anzi è ancora più “dentro”, ancora più caratterizzante, ancora più identitario. Il territorio è cultura,
è sapienza antica, è educazione. E’ oltre le norme, che certamente servono, ma
che verranno sempre eluse o perlomeno “murrungiate” se non si capisce il fatto
fondamentale: noi ci viviamo, in questo territorio, e per pochi che lo
sfruttano e molti che vorrebbero imitarli, qualcuno muore.
Mai
come oggi mi sento responsabile anche io, per quella idea limitata e ingenerosa
di un luogo che è molto più che sole e mare e spiagge. L’immagine facile e
diffusa perfino sotto la pelle dei sardi di una isola sempre calda, bella,
estiva, vacanziera non è forse parzialmente responsabile della convinzione
granitica che vada sfruttata fino all’osso, finchè ce n’è?
E l’idea della lunga
estate calda, quest’anno fino a novembre, non ha forse solleticato in passato e
anche ora l’idea che sia soltanto questo il tipo di turismo praticabile:
seconde case, alberghi (vuoti), prezzi che lievitano da un mese all’altro, il
sogno abortito di esportare il format “Porto Cervo” ovunque sia possibile, e
anche dove impossibile? Penso alla zona di S.Margherita di Pula, dove erano
state ottenute le concessioni per costruire un albergo sul mare, e dove ogni
anno c’è un fiorire di locali notturni che scimmiottano la costa Smeralda.
Penso a quella discoteca vicino a Cagliari spacciata per un nuovo Billionaire,
roba da parvenu del divertimento
quali noi non dobbiamo essere.
E’ anche nostra la responsabilità
di aver accettato come normali delle cose incredibili, dei
mostri costruiti sugli argini dei fiumi, in zone certificate ad alto rischio
idrogeologico.
E’ colpa nostra che abbiamo votato
quei portatori di interesse, come
i sindaci che qualche mese fa protestavano contro i limiti all’edilizia nelle
fasce fluviali (qui) e oggi piangono nel fango, noi che telefoniamo al parente
impegnato in una battaglia ecologista per cercare di ammorbidirlo, che
protestiamo perché non ci sono i chioschi in ogni spiaggia in cui andiamo,
eccetera.
Visto
che ci piace molto dirci sardi e ci riempiamo la bocca di questo inafferrabile
concetto di identità che a quanto pare ci rende diversi dagli altri, dobbiamo farci carico tutti di una
caratteristica che è propria della nostra regione, e cioè il disprezzo e
l’incomprensione per il nostro territorio.
Che è
disprezzo per noi stessi, perché noi siamo
il territorio che abitiamo: siamo lo skyline di Cagliari come la piana del
Campidano,siamo la strada 131 che attraversa l’isola e da trent’anni è un
cantiere aperto, siamo la costa dove insiste una raffineria enorme, siamo i
paesi piccoli e spopolati e siamo la sabbia che ci piace sentire sotto i piedi
per qualche mese l’anno, quando ci dimentichiamo del resto.
Ci dimentichiamo che noi siamo
anche il fiume, e tentare di ucciderlo significa uccidere anche noi.
(il bel video che posto è la cosa più simile alla realtà che abbia visto finora).Etichette: allerta meteo SAR, alluvione Sardegna, cleopatra, francesca madrigali, rischio idrogeologico, sardegna, territorio