Il percorso terapeutico di chi vuole liberarsi della
dipendenza da giornalismo è lungo e complesso, spesso non si torna mai puliti:
è tanto più vero quanto più a lungo lo si è fatto, questo maledetto mestiere. Così pensano quasi tutti i membri del gruppo
di auto-aiuto Giornalisti Anonimi, mentre si inerpicano per le salite di questa
bella città, che ospita il primo progetto-pilota di liberazione dalla
dipendenza.
Il volantino
promozionale recitava pressappoco: “organizzato
da una Associazione No-profit, chè tanto di profit ne abbiamo visto ben poco
nella nostra vita, il gruppo di auto-aiuto si basa sulla forte motivazione dei
suoi membri. Verranno ascoltate le testimonianze di chi ce l’ha fatta,
sperimentate delle nuove tecniche di ipnosi per favorire l’analfabetismo di
ritorno, e nei casi più gravi mostrati gli esempi peggiori della professione,
soprattutto quando molto profit”.
La settima
seduta si svolge nella saletta appartata di un bar del centro città. Il fatto
che il bar sia luogo di ritrovo abituale di molti giornalisti è considerato un
elemento “sfidante” in più, nelle intenzioni di Valeria, l’ex (ex giornalista e
molte altre cose) che coordina la seduta. L’atmosfera è ovattata, luci basse,
pareti color salmone, alta densità di seconde colazioni che durano tre quarti
d’ora e macchine parcheggiate in terza fila.
Valeria è risoluta, un filino aggressiva, e apre la seduta con il consueto mantra: "Siamo qui per aiutarci a vicenda, noi faremo del nostro meglio
per ricordarci che dobbiamo impegnarci per cambiare le cose che possiamo
cambiare e accettare quelle che non possiamo cambiare o come cazzo era la
questione. Insomma, diamoci una scossa, perbacco, volere è potere, come dice anche quel tizio che fa le T-shirt e ha
migliaia di ammiratori!”
Perplessità in
sala. All’ingresso, sotto la cassa del bar, una cameriera compiacente (ha anche
lei un cugino di terzo grado che vorrebbe iscriversi all’albo dei pubblicisti e
un altro che ha due romanzi nel cassetto da anni) tiene in custodia gli effetti
personali dei partecipanti: almeno uno smartphone a testa, gli Ipad, qualche pc
portatile e perfino qualche libro. I taccuini no, quelli li possono tenere, tanto
in molti casi sono bianchi da mesi ormai.
Valeria: “chi vuole cominciare oggi? Coraggio, non siate timidi…ci siamo
passati tutti!”
Un ragazzo alza
la mano. Ha la barba, lo sguardo mite, sembra tranquillo. Con la tipica
espressione dei reduci afflitti da shock post-traumatico, comincia a
raccontare:
“Salve a tutti. Mi chiamo Francesco, e ho un problema. Ecco, io…”
Tutti, in coro, rispondono: “ciao Francesco, grazie a te. Ti vogliamo bene, ti vogliamo aiutare!”.
Fuori, i clacson delle macchine
impazzano, forse per la doppia e tripla fila davanti al noto e ben frequentato
caffè del centro. I G.A. (Giornalisti anonimi) tentano di ignorare il rumore e
la fretta, pallido ricordo di vite passate. Il futuro è slow, lo dicono anche i
promotori del gruppo, molto slow.
Francesco: “…ecco, io lavoravo, e bene, anche”
Sospiri in
sala. Interviene, senza il permesso di Valeria, una ragazza sui quarant’anni,
con voce sommessa che lentamente si fa stridula: “Lavoravi bene? Cioè pagato…pagato regolarmente? Cioè, che vuol dire
‘lavoravo bene’?!”
F. (un po’ esitante, intimorito): “beh, nel senso che avevo
un contratto, e lavoravo stabilmente, tutti i giorni…”
Cala il gelo. Tutti
i giorni? Con un contratto? Molti partecipanti si agitano nervosamente sulle
poltroncine del bar. Cominciano ad emergere dei brutti ricordi che nemmeno i
fiori di Bach endovena sembrano addolcire.
Valeria, la
coordinatrice, ha le occhiaie. La baldanza iniziale sembra sparita. Francesco
prosegue, sereno e un po’ fisso: “Sì, dopo tanto
studio e impegno pensavo di aver raggiunto un equilibrio, sapete…come dicevi
tu, Valeria, volere è potere, e non lo dice quello delle citazioni sulle magliette,
ma qualcun altro che adesso mi sfugge…mannaggia alle medicine….insomma, credevo
di poter stare tranquillo. Avevo un lavoro nel giornalismo, un contratto...mi
pagavano! Certo, con qualche ritardo…però insomma, tenevo duro e con me anche i
colleghi. Poi hanno smesso….”
Valeria sembra
riprendersi: “i tuoi colleghi hanno smesso?
Davvero? Ce l’hanno fatta da soli?”
F.: “no, hanno smesso di pagarci…i colleghi hanno continuato a lavorare,
ma lo stipendio non è arrivato per mesi”.
Silenzio.
L’hanno sperimentato tutti, almeno una volta, o conoscono qualcuno che l’ha
fatto. Lavorare senza compenso, non per poco tempo, ma talvolta per mesi. Un
meccanismo inspiegabile con le consuete categorie del pensiero. Un mistero
(!!111!!!!).
La ragazza
dalla voce stridula esclama:” eppure io so
che negli altri lavori c’è una cosa strana, si chiama sindacato, che serve a
queste cose…cioè mi hanno detto che esistono gli aumenti salariali, le tutele,
la difesa di chi non viene pagato, perfino i contratti regolari, ecco…”
Francesco
sembra non averla nemmeno sentita. E prosegue: “beh certo, c’erano i collaboratori, quelli che venivano pagati ‘a
pezzo’…ricordo il caso di uno che ebbe un improvviso crollo, raccontava che un
amico stupefatto gli aveva detto qualcosa tipo ‘ma guadagni meno della mia
signora delle pulizie, chi te lo fa fare?’ ….e questo gli aveva causato
notevoli problemi con il suo Io, il Super Io e soprattutto con gli altri…perchè il resto del mondo sembrava non capire che almeno lui scriveva, capite? vedeva il suo nome o le sue iniziali sulla carta, e questo a lui bastava. Ma agli altri no!”
La
coordinatrice interrompe il ragazzo: “Sì, vabbè,
cerchiamo di stare sul pezzo, però. Il fatto che il giornalismo sia un caso
studio quasi unico dal punto di vista economico e salariale, tollerato in tutte
le civiltà apparentemente evolute, è un altro paio di maniche. Per dire, il
caporalato in Puglia è oggetto di inchieste, quello nei giornali no, e qualcosa
vorrà pur dire…quindi, Francesco, continua pure, sii stringato però, perché il
tempo a nostra disposizione sta per finire e tra un po’ comincia l’happy hour,
dobbiamo liberare la sala…”
Francesco: “sì, d’accordo, sarò breve.
Insomma, hanno cominciato a non pagarci gli stipendi. L’editore è sparito…ma
soprattutto, per mesi, ha fatto quello che ha voluto: ha acquistato,
organizzato, ri-organizzato,ceduto l’azienda, nella tranquillità assoluta…ora,
mi dicono che poteva farlo, evidentemente…ma io non capisco come sia possibile.
Come è possibile che nessuno si accorga di nulla e che non ci siano leggi che
lo vietino? Ora, anche il cognato di mio zio, che ha una catena di pompe
funebri, vorrebbe scrivere un libro e magari investire qualcosina
nell’editoria, potrei proporgli di subentrare…tanto, per fare l’editore, basta
un minimo di capitale e tanta megalomania, e zio Peppino ne ha in abbondanza!”.
Il viso di
Francesco è sereno, lo sguardo un po’ vitreo. La coordinatrice, Valeria, è
tornata dalla toilette dove era andata a rinfrescarsi il trucco, perché
mortalmente pallida: effetti della seduta, del calo di pressione che spesso la
coglie quando sente le testimonianze, ma soprattutto della cattiva coscienza:
perché anche lei, in realtà, ha un romanzo nel cassetto, mancano giusto gli
ultimi tre o quattro capitoli.
E sappiamo che
le regole del Metodo Giornalisti Anonimi proibiscono severamente la lettura,
figuriamoci la scrittura: bisogna tagliare tutti i ponti con quel passato.
Ecco perché
Valeria appare particolarmente inquietante mentre afferma risoluta: “Grazie, Francesco. Sulla opportunità di coinvolgere l’impresario di
pompe funebri nell’editoria ci faremo ognuno un pensierino e lo esporremo nel
prossimo incontro. Posso solo dirvi, per ora, che ci vuole una terapia di massa
per guarire gli italiani da questa fascinazione della scrittura: guardate ancora
più televisione, no? Oppure fate sport! Leggete, ecco, leggete di più, i libri
veri però, mica le minchiate: l’industria editoriale in crisi nera ve ne sarà
grata, e anche chi avrà la ventura di leggere qualcosa di vostro! E ora
arrivederci: potete ritirare i vostri effetti personali all’ingresso”.
Qualcuno,
sottovoce, borbotta: “ci mancavano
soltanto i predicatori, quelli che hanno cominciato ieri e vogliono spiegarci
come fare questo lavoro…e non conoscono la differenza tra un verbo e un
aggettivo!”. Fioccano i “ssshhh!” e le
gomitate: non per timore della polemica, ma per stanchezza e per il desiderio
incontrollabile di tornare ognuno al proprio computer.
Si alzano
tutti, nell’atmosfera ovattata della saletta, e lentamente si incamminano verso
l’ingresso, ognuno assorto nei propri pensieri: che sono tutti incentrati sugli
eventi da seguire in città, sugli ultimi gossip politici, la campagna
elettorale permanente, il nuovo numero di Internazionale.
Appena usciti
dall’elegante caffè in centro, tutti i G.A. si disperdono, salutandosi a
malapena: un coro di trilli e notifiche degli smartphone appena riaccesi
sottolinea l’inizio degli aperitivi e spaventa i piccioni e i gabbiani che
infestano la città.
(* la maiuscola non è
casuale, ma usata di solito da chi vuole conferire carisma e sintomatico
mistero a ciò che dice, in questo caso la Scrittura. Prossimo passo, i punti
esclamativi a caso).
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