Deve capirlo il mio fruttivendolo.

Ma anche la nonna di 81 anni, lo studente di 16, il lavoratore/trice di ogni età, che sia dipendente o precario non importa. Quello che importa è che non ha tempo per le frasi fatte, le parole difficili, le supercazzole molto filosofiche e poco concrete. 
Ha voglia di capire, meno di interpretare qualsiasi cosa assomigli ai geroglifici della Stele di Rosetta per lessico, tempistica, intenzioni. Il mio fruttivendolo, che compra ogni giorno il quotidiano locale e lo commenta con gli anziani che vanno in bottega, semplicemente vive.

Così anche gli altri, anche io. Viviamo in tempi complicati, in cui il benessere minimo non è più diffuso- se mai lo è stato, o magari sono io, sfigata per generazione, che penso al luminoso passato dietro le mie spalle. Magari non era così, ma quel che è certo che gli andamenti di vita erano più prevedibili, mi sembra.

Oggi abbiamo tempo solo per vivere, per sfangare la giornata, intrappolati in un eterno presente che per molti ricomincia in loop alla fine del mese, per altri è congelato da parecchio in attesa di tempi migliori. 

Questo è lo sfondo nel quale ci muoviamo, noi abitanti del mondo reale: fuori dalle strategie della politica, di cui leggiamo probabilmente soltanto i titoli, lontanissimi dagli accadimenti economici, di cui conosciamo- anche qui- soltanto l’oggi e non lo colleghiamo con il domani (vedi il caso IMU). Inoltre, il bombardamento di stimoli e informazioni al quale siamo sottoposti confonde, distrae, riduce il tempo a nostra disposizione.


Qualsiasi cosa vogliamo comunicare, quindi, e per qualsiasi ragione, dobbiamo cercare di farla capire al signor fruttivendolo e a tutti gli altri, tenendo presente che hanno altro da fare.
Mille distrazioni, e non esattamente goderecce: guadagnarsi la giornata o cercarsi un lavoro, pagare le bollette, le multe, il condominio, lo zaino per la scuola dei figli.

Vale per tutte i temi più importanti: la politica, l’economia, la letteratura, le questioni di genere, la nostra identità. Le questioni nazionali o locali, sulle quali –ormai è pacifico- è urgente intervenire, devono essere comunicate con semplicità e chiarezza, abbandonando da un lato la spocchia tipica di una certa cultura e una certa area politica, e dall’altra l’approccio facilone e demagogico di un’altra (poi certo le tendenze si possono anche mescolare, non ci priviamo di nulla, noi italiani santi, poeti e navigatori). 


Chiunque voglia esprimersi, mandare un messaggio oltre il proprio perimetro (scrivere “recinto” mi pare brutto ma forse è più comprensibile, in linea con le mie buone intenzioni), deve necessariamente parlare e scrivere bene. Cioè chiaro. Altrimenti la logica conclusione è che l’osservazione e la celebrazione del proprio ombelico e dei propri –ismi sono più importanti di tutto il resto, checchè se ne dica.
E che quindi è naturale e giusto non essere capiti, ricevere in risposta lo  sguardo vacuo di chi passa oltre, insomma: perdere.


Potremmo perderci in forma, bellezza, narcisismo? Può darsi. Ma quello che si potrebbe guadagnare è più importante, oggi: farsi capire, veicolare correttamente le informazioni, stimolare il confronto, riaccendere lo sguardo di chi – legittimamente- quando gli si parla di attivismo politico, intellettuale, di arte e cultura, del resto del mondo o della nostra città, ti chiede soltanto: ma ci guadagni qualcosa, almeno?

(nella foto, comunicazione efficace sul tavolo di un noto locale chic della città)

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