Un cervello enorme. e inutile.

Un singolo episodio non fa testo, ma due o più sì: e se già due, tre o più persone mi parlano dello stesso argomento, che è quello su cui sto riflettendo anche io da qualche giorno, allora non può essere un caso.

Il nostro problema attuale è il cervello: non perché ne abbiamo tanto, s’intende (io, perlomeno), ma perché lavora troppo e non va mai in ferie. 
Non conosce la crisi, il signor Cervello, e se tutti lavorassimo quanto lui, e retribuiti, saremmo straricchi. Esso, lui, insomma, ha talmente tante cose da fare e brigare che non si ferma neanche la notte: ecco perché capita di risvegliarsi (già) stanche, perché si è sognato troppo, con sogni troppo densi e pieni di tutte le persone e le questioni che non siamo riusciti a sbrogliare durante le ore di veglia. 
E’ un terribile problema avere un cervello così, ed è un errore assecondarlo sempre. 
Perché tutti dobbiamo prima di tutto riposare (soprattutto se con la scatola cranica e il suo contenuto ci lavoriamo) e poi dobbiamo riappropriarci dell’altra componente fondamentale dell’esistenza: il nostro corpo e la nostra fisicità. 

Di solito ci rendiamo conto di questa esigenza, cioè ci ricordiamo di avere anche un corpo che vive, sente, reagisce, all’improvviso. E ce ne stupiamo, perfino, perché in moltissimi casi la personale attitudine e i casi della vita – nonché il lavoro “intellettuale”  e il fatto che tendiamo a frequentare persone a noi simili- ci hanno fatto diventare un enorme cervello con due gambette e due braccine esili. Questa è l’immagine che ho in testa da qualche giorno: una specie di girino che vive nel mondo solo attraverso i pensieri, i ragionamenti, le parole, l’attività dell’intelletto. E basta. 

Poi, magari, accade che passiamo una intera giornata senza comunicare con altri cervelli, magari con bambini piccoli per i quali soltanto il qui e ora conta, o magari al mare, dove il caldo ci stordisce e impedisce di fuggire in percorsi mentali troppo arzigogolati.

Oppure andiamo in palestra, e capiamo che il corpo esiste, eccome. Fra gli effluvi della pelle sudata e il tipico odore di similpelle delle panche, gli accanimenti inutili contro l’immonda cellulite o i bicipiti gonfi sotto facce anonime, i discorsi captati al volo sulle creme rassodanti e il mistero irrisolto dei maschi che ormai si depilano anche le braccia, in tutto questo capiamo che la gente si guarda ancora. E molto. E lo fa con i sensi, non con le meningi (o non soltanto).

Capiamo, in questa e soprattutto in altre occasioni se solo ci prestiamo un po’ di attenzione, che anche il signor Cervello va in stand-by ogni tanto, e si innescano altri meccanismi che hanno a che vedere con gli odori, i suoni, gli occhi e la bocca delle persone. Il corpo si riprende la sua importanza, attraendo e respingendo gli altri, senza necessariamente essere bello, standardizzato, prevedibile.

Sono le conseguenze di questa improvvisa e banale scoperta, ad essere imprevedibili.



Per fortuna.

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